Lo studio della comunicazione, da quella interpersonale a quella dei gruppi, siano essi spontanei o strutturati, ha sempre di più assunto una forte rilevanza nel mondo di oggi.
Alla base di questa scienza sta l’avvento della società di massa, già manifestatasi negli anni Trenta dei regimi totalitari, ma che si affermera’ in maniera piena, non soltanto “politica” dunque, solo dagli anni Cinquanta in poi, negli Usa, e dai Sessanta in Europa.
Il fil rouge che lega i due Continenti su questa tematica è l’esplodere dell’industria del consumo, figlia di un rinato benessere postbellico diffuso e tutto da gestire. Muoiono le tradizioni, o meglio, per dirla con Pasolini, vengono uccise, deportate, per lasciare spazio al “nuovo”, arrivato all’improvviso, già confezionato, e pronto ad essere venduto a tutti.
Da qui la necessità di analizzare scientificamente il come potere creare il consumatore seriale, indispensabile ad una industria in grado di espandersi solo attraverso la creazione di illusioni, essendo i nuovi beni soltanto effimeri, mai necessari. E allora il Marketing, genialmente messo in campo da Philip Kotler, intuisce che soltanto facendo credere al consumatore che l’effimero è necessario, il gioiello come il pane, si potrà raggiungere l’obiettivo sopra citato.
Contemporaneamente, è la Scuola di Palo Alto, in California, guidata da Paul Watzlawick, a rendersi conto che lo studio della comunicazione sarà l’elemento base di questa “nuova” società, in cui i rapporti tra le persone sono sempre più immediati e poco mediati.
Le coordinate spazio-temporali in cui l’uomo si muove sono completamente cambiate, anzi si sono snaturate, industrializzate appunto, serializzate, come la catena di montaggio e il continuo rinnovarsi degli scaffali dei punti vendita di ogni tipo.
Il nuovo modello produttivo e commerciale diventa pedagogico ed “insegna” all’uomo come comportarsi per sopravvivere ad esso. Lo studio della comunicazione parte da un tragico punto di partenza. Solo il 30% di quello che diciamo arriva all’altro, al nostro interlocutore.
Gli studiosi californiani si armano di coraggio e generano una delle teorie più geniali di sempre. La scienza della comunicazione scompone il nostro dire ed agire.
Comunicazione verbale e non verbale, contesto, interpretazione, empatia, ascolto attivo, gestione dei conflitti, diventano termini oggi conosciuti in ogni parte del mondo. E se, per riconoscimento esplicito degli stessi studiosi, la conoscenza di tutto ciò a livello di massa è ancora poco produttiva in senso operativo, il discorso cambia quando si trasla tutto questo sapere a livello di funzionamento dei gruppi, soprattutto quelli di lavoro, i più strutturati ed istituzionalizzati per loro stessa natura.
Dotati di norme e modalità organizzative che li regolano e di leader che li dirigono e controllano, i gruppi di lavoro, stando alle statistiche di chi li studia, sono quelli meno conflittuali, proprio perché poco spazio viene lasciato al singolo e al suo Io, indirizzato al meglio verso l’obiettivo comune, motivo primo della nascita stessa dei gruppi di lavoro.
Le imprese, soprattutto le più accorte e consapevoli, si giovano di tutto ciò, regolandosi al meglio per gestire una produzione che si fa sempre più ricca e urgente.
La distanza tra individuo e mercato si fa sempre più stretta. Il primo, in balia delle proprie debolezze ed incertezze, gestite al meglio dalla pubblicità, viene sempre più “irreggimentato” all’ interno del sistema consumistico, così come voluto dal Marketing, insuperabile esempio di scienza capace di fondere due branche di studio soltanto in apparenza lontane, psicologia ed economia.
La comunicazione interpersonale assume, così, sempre di più il ruolo di regolatore interno di questo meccanismo economico oramai impossibile da evitare. In particolare, la comunicazione simbolica, quella destinata a definire al meglio il rapporto tra individuo ed “apparenza”, perfettamente analizzato da Erich Fromm nel suo celebre saggio “Avere o essere”, prende il definitivo sopravvento.
Gestire l’individuo, guidarlo verso la “giusta” via dell’uomo ad una dimensione di marcusiana memoria, diventa l’imperativo di ogni società, oramai non soltanto occidentale.
La comunicazione efficace, anche inconsciamente interiorizzata dal singolo, sarà quella che porterà questi ad essere fruitore di felicità indotte da un mercato sempre più autoelettosi a guida morale e persino spirituale di ognuno. La chiusura del cerchio si è compiuta. Kotler e Watzlawick si sono incontrati sulla strada che ha, definitivamente, segnato il sentire comune di ciascuno di noi.