“L’occhio della Storia”

La cinematografia sappiamo essere nata nel 1895. Il Novecento è stato, dunque, segnato da una nuova “forma” di Storia, quella per immagini.

L’analisi del nostro recente passato ha fruito, così, di nuove fonti di indagine conoscitiva. Un film, sia esso di documentazione o di finzione, non è soltanto il corollario di ricerche d’archivio o bibliografiche, ma è esso stesso testimonianza di un momento, di un’epoca.

Il Novecento è stato giustamente definito il “secolo breve”, e per questo l’analisi storica è stata favorita anche dal rapido succedersi di eventi decisivi persino per l’intera umanità (vedi, la caduta del muro di Berlino). La cinematografia (e, per estensione, la sua figlia naturale, la televisione) rappresenta l’invenzione comunicativa per eccellenza proprio di quel secolo.

Una buona coincidenza. Infatti, essa, più di ogni altra, è riuscita a raccontare, in maniera diretta, quanto accaduto. L’interpretazione è alla base di ogni studio storico. I documenti sono fondamentali ma vanno sempre interpretati, e l’immagine in movimento potrebbe ingannare facilmente, perché la tentazione di pensarla come un dato informativo incontrovertibile è sempre dietro l’angolo.

La consapevolezza dell’inesistenza di una realtà oggettiva cinematografica ha rimesso in gioco, ancora più fortemente di prima, la consapevolezza che solo da una giusta lettura delle varie fonti visive soggettive si può arrivare a comprendere quanto è accaduto anche pochi decenni fa.

Un film di finzione come Paisà, 1946, caposaldo neorealista di Roberto Rossellini, dice sulla Resistenza molto più di mille testimonianze archivistiche scritte, proprio perché la sua forma “rivoluzionaria”, più ancora del suo deflagrante contenuto, è pregnante testimonianza storica di quanto tragicamente vissuto in quegli anni dal nostro Paese.

Allo stesso modo, i film documentari di Leni Riefenstahl sul regime di Hitler sono stati definitivamente smascherati, al di là della loro grandezza tecnica, come opere di pura propaganda (dunque, di finzione), aiutando gli storici a capire quale fosse il ruolo del ministero guidato da Goebbels nell’ indottrinamento delle masse.

Anche i film sulla tragica fine di Aldo Moro (forse l’avvenimento storico postbellico più eclatante del nostro Paese, anche per la sommatoria dei motivi, nazionali e internazionali, che ne stanno alla base), da quello di Ferrara a quello di Martinelli, fino agli ultimi due di Bellocchio, sono l’ennesima testimonianza che la ricerca artistica non è avulsa dall’analisi storica, proprio perché essa tenta di arrivare ad una verità che i tanti documenti “ufficiali” hanno cercato di chiudere secondo convenienze politiche purtroppo poco edificanti. La storiografia filmica è ancora agli inizi della sua già gloriosa avventura.

Certamente, non sono mancate e non mancheranno in itinere problematiche e dibattiti di vario genere, vedi la sempre più controversa questione della “cancel culture”, da alcuni evocata come necessaria per rendere giustizia a chi, in passato, specie nei mass-media più popolari, è stato oggetto di assurdo e ingiusto dileggio, e da altri vista come una grave perdita per la formazione consapevole delle future coscienze, che soltanto attraverso il confronto critico con ogni prodotto culturale e mediologico potranno non ripercorrere più sentieri definitivamente superati dal progredire, anche faticoso e sofferto, della Storia. Ed in questo senso, la geniale rilettura artistica operata dal duo Ricci Lucchi-Gianikian su rari filmati d’epoca, che vanno dalla prima guerra mondiale fino alle conquiste coloniali, ha certamente molto da insegnarci.

Al di là di tutto ciò, è indubbio che ogni ambito dell’umano potrà essere (ri)analizzato con il supporto documentale dell’immagine in movimento, sempre più arricchito da una innovazione tecnologia pressoché inarrestabile, fondamentale nella sua visione olistica della realtà. Una sfida quanto mai difficile ma altrettanto necessaria e affascinante.

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